Numero 4 • Raccontare vite
Un pastiche con Pontiggia. La vita di Julie Booker. I libri di Emmanuel Carrère. La saggezza di Albert Einstein.
Buongiorno e una buona domenica a tutti! Come state? Avete guardato Sanremo questa settimana?
Io confesso di no. Non l’ho mai guardato in vita mia, forse per un pregiudizio sviluppato da ragazzino. In casa avevamo i meravigliosi CD del Festivalbar, quello blu e quello rosso, e per qualche ragione sono cresciuto credendo che Sanremo fosse il cugino sfigato e “da vecchi” del Festivalbar. Eppure il grande festival dell’estate che tanto amavo è morto ormai dal 2007, mentre Il Festival della canzone italiana (come ho scoperto chiamarsi ufficialmente Sanremo) ha festeggiato proprio in questa edizione i suoi 70 anni: neanche la pandemia è riuscito a fermarlo.
Io invece, sarà forse l’anniversario, ma del lockdown infinito e della pandemia sono davvero stufo ultimamente, quindi mi consolo condividendo con voi questo numero della newsletter.
Per coloro che la ricevono per la prima volta, qui ci sono un po’ di istruzioni per l’uso. Buona lettura!
Il racconto / gioco
Vitali Antonio, uomo non illustre
In “Numero 2 • Habemus logo” vi avevo proposto un gioco, ma al tempo i modi di interagire non erano ancora chiari, quindi ci riproviamo di nuovo. Ricordate: potete rispondere a questa email, oppure (la mia opzione preferita) schiacciare il bottone Leave a comment, scrollare fino in fondo e lasciare un commento.
Il racconto che vi mando è stato scritto da Giuseppe Pontiggia, grande maestro di stile del secondo Novecento italiano, e fa parte della raccolta Vite di uomini non illustri. In questo libro, Pontiggia ha avuto la geniale idea di raccontare la vita di persone comuni, come se fossero grandi personaggi della Storia. L’effetto è, secondo me, meraviglioso.
Tempo di lettura: 9 minuti. La versione in pdf si può trovare qui.
Dunque, il gioco è questo: all’interno del racconto c’è un paragrafo scritto da me. Ho fatto un pastiche, cercando di copiare in tutto e per tutto lo stile dell’autore. Riuscite a capire di quale paragrafo si tratta? Rispondete all’email o lasciate un commento qui sotto, scrivendo le prime 4-5 parole del paragrafo. Più sbagliate, e più sono felice, perché vuol dire che sono riuscito a catturare bene il suo stile!
La biografia
Julie Booker
Facendo un pastiche si assimila veramente lo stile di un autore. La sfida successiva è forse scrivere un racconto che si ispira a quello stile, ma rielabora la prosa secondo la propria sensibilità.
La foto che vedete qui sopra viene da un libro che si chiama Odd Jobs: portraits of unusual occupations e ritrae Julie Booker, una ragazza che di lavoro fa la contapesci in un acquario: cerca di monitorare quanti ne nascono e muoiono ogni giorno. Ho cercato di immaginarmi come potrebbe essere la vita di Julie e di raccontarla ispirandomi allo stile di Pontiggia. Qui sotto trovate il risultato.
Tempo di lettura: 2 minuti. La versione pdf si può trovare qui.
La curiosità
Parlare di sé: i libri di Emmanuel Carrère
Ne ho letti quasi quattro: spero di finire oggi Limonov, mentre dalla foto qui sopra manca Il Regno, che un affezionato lettore di questa newsletter mi ha regalato un paio d’anni fa e che rimane il mio preferito. Nella piccola introduzione all’autore che Adelphi mette all’inizio dei libri si legge:
Emmanuel Carrère è nato a Parigi nel 1957 da una famiglia di origini russe, ed è considerato oggi il più brillante degli scittori della sua generazione.
A questi giudizi, devo confessarlo, io sono irrimediabilmente sensibile: se Adelphi mi dice che Carrère è il più brillante scrittore vivente, anche senza volerlo, anche se mi rendo conto che lo dice soprattutto per vendere più libri, io un po’ ci credo. E non è che lo si possa negare: scrive da dio. Ma che tipo di libri pubblica, il più brillante scrittore vivente? Molti sono biografie, spesso di altri scrittori: oltre a Limonov, ha pubblicato anche la biografia di Philip K. Dick con il bel titolo Io sono vivo, voi siete morti.
Ma, al contrario di altri scrittori di biografie illustri, nei libri di Carrère c’è sempre un ingrediente speciale: Carrère stesso. Non solo nelle biografie, ma anche nei libri in cui parla d’altro (Vite che non sono la mia, ad esempio, narra la storia di due giudici francesi che difendono persone vittime di sovraindebitamento), la cosa bella e innovativa è che c’è lui dentro. Lui ti racconta fatti della sua vita, e come questi fatti si intrecciano all’oggetto principale della narrazione, e soprattutto ti racconta gli aspetti più interessanti della composizione del libro che stai leggendo: chi ha intervistato, dov’è andato, quali parti sono state più difficili da scrivere.
A molti questo dà sui nervi. In alcune occasioni, anche a me. È un autore che racconta tutto di sé e dei propri pensieri (rivelando di frequente aspetti della propria vita morale, familiare e sessuale tutt’altro che lusinghieri) e a volte è impossibile non lasciarsi esasperare dal suo narcisismo. Allo stesso tempo, però, è proprio la sua sincerità disarmante ad essere magnetica: lo si ammira perché è in grado di vuotare il sacco su aspetti di sé che molti preferirebbero non venissero mai alla luce. Lui sostiene di scrivere, essenzialmente, per comprendere sé stesso e il mondo, per crescere, per migliorare; ma ad alcuni sembra che lo faccia solo per mettersi in mostra. Nel suo ultimo libro (che si intitola Yoga e uscirà in Italia in primavera), dice:
Sono un narciso, instabile e condizionato dall’ossessione di essere un grande scrittore che nella vita cerca di diventare un essere umano migliore.
Quali che siano le sue ragioni, Carrère si inserisce all’interno di una tendenza incontrovertibile dei nostri tempi. Mentre nell’Ottocento era normale che Flaubert, Manzoni e Edgar Allan Poe si inventassero delle storie di sana pianta, facendo ricorso alla propria fantasia e preoccupandosi più della verosomiglianza che della verità, durante il Novecento sempre più autori hanno sentito il bisogno di giustificarsi nel raccontare una storia, di dire: “ve la racconto perché io c’ero”. In Italia, l’esempio principe di questa tendenza è stato Primo Levi: lui ad Auschwitz c’era, ed è per questo che ne racconta. E quindi si è passati dalla terza persona onniscente di Manzoni all’io di Primo Levi, e poi all’io io io di Carrére. E si è passati dal raccontare molte più fiabe, fantasie e storie inventate, a raccontare molte più vite e cose realmente accadute. È una tendenza che si può notare anche nel cinema, dove ormai tantissimi film sono tratti da storie vere.
Sarà che l’umanità non ha più la fantasia di una volta, e che ormai siamo tutti troppo rinchusi dentro noi stessi per raccontare e ascoltare con piacere le storie d’altri? Magari ne parleremo in una prossima puntata della newsletter.
La citazione
Liberarsi dell’io
Visto che abbiamo parlato di biografie, di mancanza di fantasia, dell’opportunità o meno di raccontare i fatti propri e dell’attaccamento alla propria immagine, mi piacerebbe concludere con una citazione di Albert Einstein, che in qualche modo mi fa da mini-guida spirituale da molti anni. Viene dalla sua raccolta di saggi Come io vedo il mondo e dice:
Il vero valore di un essere umano si determina esaminando in quale misura e in che senso sia riuscito a conquistare la libertà dal proprio io.
E con questo vi saluto! Se vi è piaciuto questo numero, magari inoltratelo a un’amica o a un cugino o a una collega. A presto, ciao!
Mi e' piaciuta tantissimo la storia di Julie (nella quale forse mi ritrovo per tanti motivi!). A mio parere sei riuscito a caratterizzare molto chiaramente lei, sua madre, e la relazione fra le due, anche se in uno spazio cosi' breve. Grazie di averla condivisa con noi lettori!
Bravi Marco e Lucia, avete indovinato! Per mia fortuna almeno Ghoerg ha sbagliato :)