Numero 3 • Nuovi generi letterari, nuovi media
Chicago, un sole, una nuvola. Mahavatar Babaji. I podcast di true crime. La saggezza di Chögyam Trungpa, Rinpoche.
Ciao a tutti e benvenuti al terzo numero della newsletter!
Sto ancora imparando come funziona, questa piattaforma che uso per mandarla, e volevo spiegarvi questo: se cliccate sui bottoni azzurri con scritto Leave a comment, il link vi porta alla versione web del numero che state leggendo, ovvero la versione che rimane sul mio sito insieme ai numeri precedenti. Per ognuno di questi numeri/post individuali, se scrollate giù fino in fondo, c’è una casella dove potete lasciare commenti. Bisogna crearsi un profilo per commentare: ci si mette un minuto, ma se non vi va, potete comunque farmi sapere cosa vi è piaciuto o non piaciuto rispondendo direttamente a questa email.
Grazie, e buona lettura!
Il racconto
Chicago, un sole, una nuvola
La memoria è una cosa misteriosa. Il più piccolo e insignificante oggetto o avvenimento può scatenare una reazione a catena che, attraverso l’associazione libera di idee, ci fa tornare alla mente cose che non sapevamo neanche di ricordare.
Ispirato da un libro di Georges Perrec intitolato Mi ricordo, in cui l’autore ricostruisce una specie di autobiografia attraverso 480 microricordi, ho scritto un racconto per un piccolo concorso indetto dalla rivista online Narrandom. La traccia era semplice:
Non luoghi: aeroporto, ascensore, autogrill. Scegli una parola e invia il tuo racconto di 3 cartelle (5400 battute spazi inclusi).
Io ho scelto l’aeroporto, e ho lasciato che memorie della mia vita si intrecciassero a quelle di uno dei miei film preferiti. Qui sotto il risultato.
Tempo di lettura: 5 minuti. Chi preferisce la versione pdf può cliccare qui.
La biografia letteraria
Mahavatar Babaji
Sulla copertina dell’album del 1967 Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles (considerato dalla rivista Rolling Stone il migliore di tutta la storia della musica) sono raffigurati 87 personaggi, fra cui attori, cantanti, pugili, comici, busti e statuette di divinità.
Uno dei cicli di lezioni del mio corso di scrittura riguardava un genere a cui non avevo mai prestato grande attenzione: la biografia letteraria. Si tratta, detto brevemente, di opere che raccontano di un personaggio realmente esistito, ma inventandosi alcuni avvenimenti per farne un ritratto letterario. In classe abbiamo letto estratti da Ravel, un’opera di Jean Echenoz sul celebre compositore francese.
Il primo compito che l’insegnante ha dato, come forse avrete capito, è stato questo: scegliete uno dei personaggi della copertina dell’album dei Beatles e fatene una breve biografia letteraria, senza citare alcuna data. Avrei potuto scegliere l’unico italiano raffigurato, ma il quartetto di Liverpool aveva viaggiato in giro per l’India e conosciuto molti guru, quindi non ho resistito e ho scelto di scrivere su Mahavatar Babaji, uno yogi immortale che vive sull’Himalaya. È stato molto divertente, potete leggere qui sotto.
Tempo di lettura: 2 minuti. La versione pdf è qui.
La curiosità
I podcast di true crime
Ricordo che c’è stato un periodo della mia vita, della durata di qualche anno forse, in cui sentivo parlare di podcast senza avere la minima idea di cosa fossero. Ogni volta che venivano nominati, nella mia mente si formavano confuse idee su qualche nuova tecnologia inventata da qualcuno nella Silicon Valley, qualcosa che uno ascolta, ma non è musica, e non è radio, e non è un audiolibro. E allora che cos’hanno di speciale? mi chiedevo.
Poi piano piano ho capito che si trattava di uno di quei casi in cui qualcuno inventa una nuova parola per definire qualcosa che non è affatto nuovo, e magicamente questo qualcosa diventa nuovo. Come la scena di Malcolm in cui il protagonista dichiara di avere inventato un nuovo colore mischiando il blu e il giallo: il blallo.
Ho capito quindi che i podcast sono, sostanzialmente, radio on demand. Allo stesso modo in cui siamo passati dall’accettare che la Rai o Mediaset ci imponessero il loro palinsesto al pretendere di poter guardare quello che vogliamo quando vogliamo su Netflix o Amazon Prime Video, così adesso vogliamo sentire programmi radio quando pare a noi, e non mischiati alla musica e alla pubblicità, ma in sé e per sé.
Tuttavia, quello che non sapevo prima di seguire le lezioni di Matteo Caccia nel mio corso di scrittura è che i podcast hanno un preciso anno di nascita: il 2014. In quell’anno succedono due cose. Primo: la Apple decide di inserire una app predefinita negli iPhone che permette di cercare, trovare e ascoltare i podcast (e infatti la parte “pod” della parola viene da iPod). Secondo: This American Life, un celebre programma radiofonico statunitense di stampo giornalistico, decide di pubblicare, solo online e non sulla radio, una volta alla settimana, un episodio di una nuova audio-serie preregistrata, che si chiama Serial. Questa serie ha un successo enorme: il New Yorker (che in quanto a cose culturali ha un’enorme influenza nazionale e internazionale) ne parla come “il podcast che tutti stavamo aspettando”. E dal quel momento, esplode il fenomeno dei podcast.
Ma di cosa parla Serial? Mi sono avidamente ascoltato tutte le 12 puntate in meno di una settimana - e io normalmente sono relativamente immune al fenomeno del binging. È una storia di true crime: l’autrice Sarah Koenig riesamina un caso giudiziario del passato, andando a indagare cosa è successo, ricostruendo tutte le dinamiche, e chiedendosi se il verdetto sia stato giustificato dai fatti accertati. In questo caso, la storia ha luogo a Baltimora (Maryland) nel 1999: un diciassettenne di nome Adnan Syed viene accusato e poi condannato per l’assassinio di Hae Min Lee, una sua compagna di scuola con cui aveva da poco terminato una relazione. Ovviamente, sul caso c’è un’enormità di dubbi, e sull’ambiguità si fonda tutta la tensione narrativa della serie: questo ragazzo, di cui nel podcast ascoltiamo spesso la voce e che sembra una persona amabilissima e ragionevolissima, ha passato gli ultimi 15 anni in carcere, e non è assolutamente chiaro se sia colpevole oppure no. L’ascoltatore viene sballottato prima in una direzione e poi nell’altra, arrivando per un momento ad essere certissimo della sua innocenza, e il momento dopo chiedendosi se, dopo tutto, non sia possibile che fosse stato proprio lui a strangolare la ragazza.
Serial ha ispirato tantissimi podcast simili, negli Stati Uniti e altrove. C’è qualcosa di estremamente attraente, nelle storie di true crime: persone accusate e condannate ma forse innocenti (underdogs, come si dice tra gli anglofoni), investigazioni da detective, e poi una versione particolarmente esplicita dell’elemento che sta alla base di ogni storia, ossia il conflitto (tra l’accusa e la difesa). In Italia, il podcast di true crime che ha riscontrato maggior successo e fatto discutere di più è stato Veleno, una audio-serie in 7 puntate pubblicata nel 2017 da Repubblica. Creata da Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, la serie italiana riesamina un caso molto diverso da quello di Serial: quello dei Diavoli della Bassa modenese, una presunta setta che, tra il 1997 e il 1998, nei due paesi di Mirandola e Massa Finalese, avrebbe organizzato riti satanici nei quali sarebbero stati molestati e assassinati bambini.
Veleno riconosce esplicitamente nei ringraziamenti di essere stato ispirato da Serial, ma la storia che racconta ha molte più connotazioni sociali e culturali. Mentre in Serial c’è una sola vittima e un solo assassino, e le ragioni che si presume abbiano spinto l’assassino a uccidere sono prettamente sentimentali e personali, in Veleno le presunte vittime sono numerosi bambini, e i perpetratori sono una banda organizzata di pedofili che compiono riti satanici. La domanda fondamentale su cui gira tutta la tensione di Serial è: può un ragazzo così amabile, diligente e rispettato compiere un atto così atroce? Le conseguenze della sua incarcerazione sono terribili, sì, ma limitate: c’è andato di mezzo lui, e la sua famiglia, e magari la reputazione della sua comunità religiosa.
In Veleno, invece, il caso ha tutta un’altra portata: vengono incarcerati o accusati i genitori di sedici bambini, una madre si suicida, un sacerdote accusato di essere il capo della banda satanica muore di infarto. E come se non bastasse, la vita di questi bambini viene stravolta, per sempre. Qua però, paradossalmente, il fulcro della questione è molto più venale e superficiale. Tutte le incarcerazioni, infatti, avvengono sulla base dei racconti dei bambini, i quali, così pare da una versione della storia, vengono in realtà suggestionati da psicologi e giudici attraverso tecniche di intervista affatto neutre. Insomma, psicologi e giudici si fanno raccontare tutto quello che vogliono sentire, fanno inventare ai bambini delle storie. E perché? Per un giro (seppur enorme) di soldi e finanziamenti provenienti dallo Stato per strutture di assistenza ai bambini abusati e per le famiglie a cui vengono affidati.
Sia in Veleno che in Serial, in ogni caso, si nota la potenza narrativa del podcast: sentire le voci di accusati, testimoni, avvocati e giudici è molto emozionante, e la mancanza di immagini e video si rivela un plus, perché lascia all’ascoltatore il compito e il piacere di immaginarsi volti, luoghi, e atmosfere.
In entrambi i casi, infine, c’è da riconoscere il coraggio incredibile dei giornalisti nell’andare a rivangare una storia che molti vorrebbero invece dimenticare, in nome della “verità” (credo). Mi è parso che Veleno scadesse molto più spesso in un sentimentalismo un po’ stucchevole, e che alla ricerca della verità sostituisse sovente il desiderio di sortire un certo effetto negli ascoltatori. Ma questa è forse una differenza culturale fra il nostro paese e gli Stati Uniti; mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se li avete già ascoltati o li ascolterete a seguito di questa newsletter :) (entrambi si trovano su Spotify o Apple Podcast o Google Podcast).
Io comunque sto lavorando al mio podcast e spero di poter condividere presto con voi il mio primo episodio! No, non sarà di true crime, perché io le palle di andare a chiedere a qualcuno se ha davvero ucciso o abusato di qualcun altro decisamente non ce le ho.
La citazione
Sbucciare gli strati
Mi dispiace per la scritta in mezzo, ma l’immagine era troppo calzante per la citazione di questo numero. Le parole sono quelle di Chögyam Trungpa, Rinpoche, un maestro di meditazione tibetano che si impegnò moltissimo per la diffusione del Buddismo in Occidente. Dicono:
Dobbiamo continuare ad aprirci anche di fronte alla più tremenda opposizione. Nessuno ci incoraggerà mai ad aprirci, e nonostante questo dobbiamo continuare a sbucciare gli strati che ricoprono il nostro cuore.
L’opposizione credo sia la nostra, che molto spesso ci impedisce di renderci vulnerabili e mostrare i lati più genuini e generosi di noi stessi. Invece, soprattutto in questo periodo di chiusure, è importante continuare ad aprirsi.
Grazie Iacopo, mi perdo volentieri nei tuoi scritti che leggo proprio con piacere , penso che tu sia molto bravo e appassionato in quello che fai; splendida la citazione di Chögyam Trungpa!
Iacopo, mi hai fatto rivivere le emozioni dei miei primi viaggi e dei primi amori. Grazie!